Due mezzi passi in avanti ne fanno uno
per la Norvegia, che chiude la tournée ottobrina delle qualificazioni
europee con due pareggi di prestigio che però forse non basteranno a ottenere
il risultato grosso. Comunque quelli con Spagna e Romania sono
due pareggi positivi, a livello di sensazioni e gioco ancor più che a livello
di punti, e hanno messo in mostra quella che probabilmente sarà l’ossatura
della squadra per il prossimo biennio.
Iniziando cronologicamente il racconto
dei due match, possiamo affermare che l’1-1 dell’Ullevaal, ottenuto al 94° contro
una Spagna sempre qualitativa ma in piena convalescenza, ha caricato a molla l’ambiente,
un po’ per come questo risultato è arrivato e un po’ per il gioco espresso.
Qualora si dovesse fallire l’obiettivo grosso, sarebbe una delusione sia per Lars
Lagerbäck che per i suoi giocatori, tutti provenienti dai migliori
campionati del continente. Bisogna però dare un merito al coach svedese, ossia
quello di aver ridato identità a una nazionale che da tempo necessitava un
chiaro disegno di gioco: un 4-4-1-1 con due linee compatte di giocatori,
dove la spinta dei terzini, nella fattispecie Haitam Aleesami e Omar
Elabdellaoui, prevale su quella dei centrocampisti, quattro equilibratori con
doti tecniche e fisiche. Davanti, il buon periodo di Martin Ødegaard permette
all’ex Real Madrid di essere lasciato libero, potendosi muovere in sintonia con
Joshua King per andare a rete.
Questo disegno è usato alla perfezione
contro gli iberici, che hanno sofferto le due linee e difficilmente sono
entrati in area di rigore con il possesso per creare pericoli. Proprio per
questo il primo tempo si rivela equilibrato e scarno di occasioni da
raccontare. La Spagna però sa autoricrearsi trovando una maniera differente di
andare a rete: sugli sviluppi di calcio d’angolo, con i norvegesi ben più abili
nel gioco aereo, Saul Niguez è bravo a rimanere fuori area per sfruttare
l’intelligente scarico di Sergio Busquets, per lo 0-1 che sa già di sentenza.
Al contrario di altre volte però, i norvegesi reagiscono e anzi si sbilanciano
con fiducia per cercare il gol, affiancando la stazza di Alexander Sörloth a
Joshua King per sfruttare i cross dalle fasce. Il terzino dell’Olympiacos, Omar
Elabdellaoui, migliore in campo per i suoi, continua con le sue progressioni
sfruttando una difesa lenta e spesso in affanno. Il coach delle furie rosse,
Robert Moreno, effettua un cambio contenitivo al minuto 88, togliendo Juan
Bernat per Inigo Martinez, che è un difensore centrale e non ha la stessa
rapidità. Così, su un lancio lungo in pieno recupero, quasi disperato, è
proprio Martinez a addormentarsi su Elabdellaoui, che gli sfreccia alle spalle,
lo anticipa e viene atterrato. È calcio di rigore e King spiazza con facilità
Kepa, concludendo di fatto il match con un risultato prestigioso e meritato.
Con questa carica psicofisica, la trasferta di Bucarest, seppur
complicata, appariva meno difficile di quanto si potesse pensare qualche tempo prima,
contro una nazionale che lottava per il medesimo obiettivo. La partita si
rivela sin da subito diametralmente opposta alla precedente: la Norvegia, con
il medesimo schema, tiene il possesso palla mentre la Romania prova a far male
con la qualità dei suoi brevilinei. Il primo tempo è privo di azioni pericolose
e si conclude sullo 0-0. Così come all’Ullevaal, la Norvegia si addormenta a
inizio secondo tempo e regala agli avversari un quarto d’ora, quello che serve
alla Romania per attaccare con convinzione e qualità: George Puscas sbaglia un
rigore al 52°, ma dieci minuti dopo Alexandru Mitrita fa dimenticare l’amarezza
con un gran sinistro a giro. Con i terzini impauriti dagli esterni d’attacco
degli avversari, tocca ai centrocampisti farsi carico della manovra offensiva.
La Norvegia, che con l’ingresso di Sörloth si era riportata su un più offensivo
4-3-3, rialza il baricentro mettendo addirittura quattro attaccanti, con Bjørn
Johnsen che preleva Ole Selnæs. Il 4-2-4 regge tanto che Lägerback capisce di
dover continuare con lo spirito offensivo: in questa logica, toglie Markus
Henriksen per inserire Mathias Normann, il quale – centrocampista del Rostov
entrato nel giro della nazionale maggiore dallo scorso agosto – tende a
spostarsi sulla parte destra del campo per fare gioco. Su una di queste
sovrapposizioni, un suo cross crea i presupposti per il pareggio di testa di Sörloth:
il centravanti del Trabzonspor schiaccia perfettamente di testa e lascia un
filo di speranza a tutta la Norvegia. Da segnalare l’ottima prestazione di
Martin Ødegaard, un ragazzo ritrovato al 100%: con cinque tiri totali e una
costante attività nella metà campo avversaria ha creato gioco nonostante la
spigolosità dell’incontro.
Guardando, purtroppo, alla classifica
del girone F, le speranze per la nazionale sono residue: con la Spagna in testa
a 20 punti (e già qualificata nonostante il pareggio in Svezia per 1-1), dietro
la lotta a tre sta per divenire a due: la Svezia segue a 15 punti, con la
Romania a 14 che avrà la possibilità di invertire le cose tra 29 giorni, a
Bucarest, contro gli scandinavi. La Norvegia resta ad 11 punti con due match da
giocare, contro Far Oer e Malta: anche vincendo entrambi gli incontri e
raggiungendo quota 17 punti, l’unica speranza di Lägerback e dei suoi uomini è
quella di un pareggio tra le due squadre nello scontro diretto e in una
vittoria spagnola contro la Romania nel turno successivo. Resterebbe però lo
scoglio legato ai cugini svedesi, che potrebbero perdere punti con i romeni ma
si ritroverebbero all’ultimo match contro le Far Oer, a Stoccolma, e potrebbero
così chiudere la pratica. Nonostante le sensazioni positive quindi, la “strada
maestra” per raggiungere gli Europei pare preclusa: fortunatamente, questa
nazionale sì promettente ma ancora non del tutto concreta avrà comunque a
disposizione la “porta di servizio” degli spareggi di Nations League dove,
oltre a provare a dimostrare la propria maturità, potrà battersi per uno degli
ultimi quattro posti disponibili alla fase finale dell’Europeo.
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