venerdì 30 dicembre 2016

Dieci cose da ricordare del 2016 del calcio norvegese



La stagione calcistica, che in Norvegia coincide per motivi ambientali con l’anno solare, è ormai finita, i campi outdoor riposano sotto i teloni – e spesso anche sotto qualche metro di neve – mentre le temperature si abbassano, le ore di luce solare si riducono drammaticamente e le notti del nord sono infiammate dai meravigliosi festoni fluttuanti delle aurore boreali. È tempo per tutti di infagottarsi sotto caldi piumoni, sorseggiare qualcosa di caldo mentre ai vetri della finestre bussa una leggera nevicata, e concedersi un po’ di riposo: anche noi di Calcio Norvegese Blog siamo pronti alle vacanze. Prima di congedarci per un po’ dal nostro lavoro e da voi affezionati lettori, chiudiamo l’anno con un bilancio globale del 2016 del calcio norvegese, con le dieci cose da ricordare di questa intensa stagione sportiva.

A Bergen è tutto pronto per un inverno spettacolare: modi per ingannare l’attesa prima della nuova stagione calcistica ce ne sono... (Foto Bergen Reiselivslag/Espen Haagensen da visitBergen.com)




1. Il Rosenborg torna cannibale in patria...
Non saranno le tredici vittorie in tredici anni come successo dal 1992 al 2004, ma il “Double Double” – la seconda vittoria consecutiva sia del campionato che della Coppa di Norvegia – non può essere un evento casuale e pare poter inaugurare un nuovo ciclo di successi per il team più rappresentativo della Norvegia, quel Rosenborg che negli anni d’oro riusciva in Champions League a mettere paura ai più forti club europei (e in qualche caso pure a batterli, chiedere ad Arrigo Sacchi per maggiori dettagli). Del resto, dopo ben quattro anni senza vincere lo scudetto (era dal 1985 che a Trondheim non si viveva un’astinenza così lunga), la squadra di Kåre Ingebrigtsen pare aver trovato la quadratura del cerchio e, nonostante qualche inciampo di troppo, ha vinto gli ultimi due titoli in sostanziale scioltezza, praticamente senza soffrire quasi mai. Quest’anno, nemmeno la falsa partenza alla prima giornata di Tippeligaen (sconfitta contro l’Odd) ha arrestato la marcia trionfale dei ragazzi di Trondheim, anche a discapito della spettacolarità del campionato: le altre squadre possono giocarsela sulla partita secca, ma non riescono a tenere il passo dei campioni di Norvegia, la loro continuità di rendimento. Siamo all’apertura di un nuovo ciclo?

2. ...ma in Europa è poco più di una squadra materasso
Ecco però una differenza non da poco tra il grande Rosenborg degli anni ‘90 e quello di oggi: quel Rosenborg in Europa se la giocava pure col Real Madrid, questo Rosenborg si fa umiliare da Apoel Nicosia e Austria Vienna – con tutto il rispetto – e non riesce a qualificarsi nemmeno per i gironi di Europa League. E non è una differenza da poco: è dalla Coppa Uefa 2007/08 che non è in grado di arrivare alla fase finale di una competizione europea (allora arrivò ai sedicesimi di Coppa Uefa dopo il terzo posto nel girone di Champions). Le imbarcate europee di quest’estate hanno lasciato tossine pesantissime in un ambiente particolarmente ambizioso che ha poco della serenità che circonda le altre piazze scandinave: la conferma del girone di Europa League raggiunto l’anno scorso era l’obiettivo minimo. Ed è chiaro che il giochino a Trondheim non può andare avanti così: per riportare davvero entusiasmo alla piazza, guadagnare qualche soldino in più e diventare un po’ più attrattivi anche fuori dai confini, dominare in Norvegia per poi essere presi a scoppole in Europa non va bene. Non si tratta di competere col Barcellona, ma almeno di arrivare al livello del Copenaghen, per fare un esempio relativamente vicino geograficamente: abbinare cioè a un ottimo rendimento interno qualche risultato soddisfacente in Europa. Altrimenti il Rosenborg difficilmente resterà ancora a lungo al vertice.

3. La crisi in Europa del resto riguarda l’intero movimento calcistico norvegese...
Il Molde straripante in grado di vincere l’anno scorso un girone non banale di Europa League e fermarsi al turno successivo dopo un sorteggio sfortunatissimo che lo ha abbinato al Siviglia (con cui non ha comunque sfigurato troppo) ci aveva illusi: il calcio norvegese in Europa, ora come ora, non conta nulla. Negli anni passati non solo il Rosenborg si è fatto vedere nei gironi delle competizioni europee se non oltre, ma anche qualche altra squadra (nel 2008 ai sedicesimi di Coppa Uefa, per dire, c’era anche il Brann, che era arrivato terzo nel girone da cinque, il già citato Molde ha un cursus honorum europeo decente, il Tromsø nel 2013 ha fatto con un po’ di fortuna i gironi di Europa League cui aveva già partecipato nel 2005, anno in cui vi era arrivato anche il Viking); quest’anno invece non solo il Rosenborg non ha concluso nulla, ma nessun’altra squadra è stata in grado di fare meglio.

4. ...e nemmeno la nazionale norvegese se la passa bene
La crisi del calcio norvegese sulla scena europea si estende anche alla nazionale, attualmente priva pure di ct dopo il divorzio da Per-Mathias Høgmo, “convinto” ad andarsene dopo una serie di risultati sconfortanti (la Norvegia non partecipa a un Mondiale dal 1998 e a un Europeo dal 2000). Se la Tippeligaen non partorisce grandi campioni, nemmeno i talenti d’esportazione sembrano trovare gli habitat naturali per sbocciare: l’Under 21 che arrivò terza agli Europei in Israele non sta mantenendo per ora le promesse (Joshua King fa il suo a Bournemouth in Premier League, che per carità non è male, ma sembrava un predestinato a qualcosa di più, così come il “paratutto” Ørjan Nyland, che lotta per la salvezza in Bundesliga con l’Ingolstadt, di cui è portiere titolare), mentre c’è il timore che il più grande talento visto da queste parti negli ultimi trent’anni, l’enfant prodige Martin Ødegaard (che comunque è un ‘98 e ha tutto il tempo per crescere), non riesca a trarre più di tanto giovamento dal pur prestigioso trasferimento al Real Madrid, che al momento si sta traducendo in un “esilio dorato” nella squadra riserve del team castigliano, che si sbatte pugnace sui campi di Segunda Division B (la “serie C” spagnola) contro squadre come Rayo Majadahonda, Socuéllamos e una squadra delle Canarie come il Mensajero. O questi giovano sbocciano nei prossimi anni, o i tempi di vacche magre continueranno per un bel po’.

5. Un italiano in Norvegia: Andrea Loberto incanta Haugesund
Audentes fortuna iuvat, diceva Virgilio: a volte la fortuna può metterci lo zampino, ma poi ci vuole la capacità di saperla sfruttare. E così, esattamente all’ultima giornata del girone di andata, dopo un discusso pareggio a Tromsø, Mark Dempsey, allenatore dell’Haugesund, si dimette, lasciando la squadra in una comunque dignitosa sesta posizione. La dirigenza, come si fa in questi casi, si mette in cerca di un sostituto e affida pro tempore la squadra al vice, l’italiano Andrea Loberto, portato a Haugesund proprio da Dempsey, e all’esordio da head coach dopo una lunga carriera negli staff dirigenziali di squadre norvegesi e no. Loberto inizia battendo 4-1 il Viking in casa, poi capitola con un pesante 6-0 sul campo del Rosenborg e perde in casa per 0-1 col Sogndal. Sembrano già i titoli di coda per l’esperienza dell’italiano, poi però arrivano dieci punti nelle successive quattro gare. La squadra inizia a girare, Loberto ne rimane l’allenatore anche quando il club annuncia di aver trovato un sostituto: sarà Eirik Horneland, che però assumerà la carica solo il 1° gennaio 2017. Loberto può restare in carica fino a fine anno, e non si fa sfuggire l’occasione: arriva quarto in classifica finale, quindi piazzando la squadra in una posizione migliore di quella in cui l’aveva trovata, e qualificandola addirittura all’Europa League. Meglio di così era impossibile: bravo Loberto. Il prossim’anno lo seguiremo ancora perché è rimasto in Norvegia, anche se ha firmato per una squadra di OBOS-ligaen: sarà a Fredrikstad, che speriamo sia il suo trampolino per nuovi traguardi di prestigio.

6. Il Brann meraviglia, l’Odd si conferma
Parlare del Brann come di una neopromossa fa quasi sorridere, visto che il Brann è una delle squadre più blasonate di Norvegia: eppure il team di Bergen quest’anno una neopromossa lo è stata per davvero, visto che proveniva da un anno di “serie B”, seguito all’incredibile retrocessione di due anni fa. E non sempre ripartire di slancio dopo un anno di B è facile, come dimostrano le difficoltà del Tromsø, tornato in Tippeligaen dopo un solo anno di cadetteria ma incappato poi in due stagioni difficilissime. Invece il Brann quest’anno ha avuto la forza di ripartire con forza come se nulla fosse successo: campionato di vertice caratterizzato da un buon avvio e da un gran finale, concluso al secondo posto con tranquilla qualificazione in Europa League. Complimenti anche all’altra squadra classificatasi in Europa League, oltre al già citato Haugesund, ossia l’Odd, che col terzo posto si guadagna l’accesso all’Europa per il terzo anno consecutivo.

7. Flop Molde e Strømsgodset
Clamoroso e doloroso il “tonfo” del Molde, prima tra le non qualificate per l’Europa. La quinta posizione di classifica sarebbe considerata buona altrove, non a Molde, che per qualche anno ha maturato l’ambizione di essere l’anti-Rosenborg e che in Europa ha dimostrato di sapersi muovere con più agio di altre connazionali, tanto da vincere l’anno scorso il girone di Europa League e arrendersi al turno successivo, seppur con onore, solo al blasonato Siviglia. Anche lo Strømsgodset, dopo un periodo di relativa gloria, si è dovuto ridimensionare accontentandosi di un campionato a metà classifica.

8. La crisi del nord
Con la retrocessione del Bodø/Glimt e la salvezza non proprio tranquilla del Tromsø, tredicesimo (cioè ultimo delle salve) per il secondo anno consecutivo, si certifica la crisi del nord della Norvegia, che negli ultimi tempi non è stato più in grado di competere ad alti livelli col resto del paese. In un modello calcistico che rimane più che altrove ancorato alle risorse locali, ossia che attinge molto alle scuole calcio sul territorio, dispiace che al nord non si riesca più a trovare quei talenti che potrebbero giovare all’intero movimento nazionale. C’è da sperare che la crisi sia contestuale (vale a dire scarsità di “materia prima”, d’altre parte non tutti gli anni possono nascere futuri campioni) e non strutturale (cioè incapacità di far crescere a puntino ragazzi che potrebbero sbocciare): da quelle parti si è sempre lavorato piuttosto bene, e c’è da dare fiducia al lavoro di osservatori e preparatori, anche se sarà solo il tempo a decretare l’ardua sentenza.

9. La fine dello Start
A Kristiansund solo i non più giovanissimi si ricordano dei due allori del 1978 e 1980, la “serie B” era stata provata anche in epoche recenti (2008 e 2012 negli ultimi dieci anni), e pure l’anno scorso la salvezza era arrivato solo allo spareggio finale con lo Jerv, eppure un campionato così deprimente per lo Start era quasi impensabile. Due vittorie in tutto l’anno, entrambe ottenute nelle ultime cinque giornate a retrocessione già certa (il che significa zero vittorie nelle prime venticinque partite), nelle trenta partite di quest’anno lo Start è stato sia il peggior attacco (23 reti fatti) che la peggior difesa (59 gol subiti), e di fatto già a metà stagione era tagliato fuori dalla lotta per la salvezza. Fare peggio di così è quasi impossibile.

10. Emozioni dalla OBOS-ligaen
Quest’anno in Coppa di Norvegia agli ottavi abbiamo avuto ben quattro squadre di Second Division e tre di OBOS-ligaen; di queste, due di OBOS-ligaen sono avanzate ai quarti di finale, e una – il Kongsvinger – è arrivata addirittura in finale, dove si è arresa solo all’onnipotente Rosenborg. Niente male: oltretutto il Kongsvinger non ha nemmeno vinto la OBOS-ligaen, che quest’anno ha promosso Kristiansund e Sandefjord. Anche lo Jerv, arrivato per il secondo anno consecutivo allo spareggio per la promozione in Tippeligaen, ha messo parecchia paura a una squadra più forte come lo Stabæk, che solo negli ultimi dieci minuti della sfida di ritorno ha saputo ribaltare una situazione che iniziava a farsi parecchio disperata.

Buon 2017 a tutti i nostri lettori, ci risentiamo presto per vivere insieme la prossima stagione.

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